Il 2020, se per molti versi è stato un “Annus” decisamente “Horribilis”, dal punto di vista speleologico a me personalmente ha portato più doni di Babbo Natale… tra vari lockdown e zone giallorosse (ma non della Roma), oltre alla bellissima avventura vissuta con Kubo e pochi altri a Ganbarù, ho trovato il tempo e la voglia di setacciare sistematicamente la zona tra Sales, Sgonico, Rupinpiccolo e Gabrovizza, scendendo in una cinquantina di cavità già note e trovandone di nuove, il tutto rigorosamente in solitaria (scelta obbligata, si, ma anche vissuta con autentica gioia).
E’ stato un lavoro certosino, spesso faticoso e non privo di colpi di scena, con qualche grossa soddisfazione… alcune delle grotte erano ostruite da cinquant’anni o più, ed una volta individuate hanno richiesto opere di svuotamento e/o allargamento non banali che mi hanno impegnato per più giorni, richiedendo a volte un paio di viaggi per il solo trasporto in loco dei materiali da scavo ma ricompensandomi poi, in alcuni casi, con interessanti prosecuzioni.
La maggior parte delle cavità, è necessario precisarlo, era posizionata sulla mappa catastale con estrema fantasia e solamente il fatto di averle effettivamente scese tutte, confrontando poi i numerosi rilievi esistenti in zona, mi ha permesso alla fine di identificarle con certezza venendo a capo dei vari errori commessi negli anni: grotte definite introvabili solo perchè ricatastate decenni dopo in un’altra posizione e con un nome differente, oppure ben rilevate e descritte ma talmente lontane dalla posizione data da poterle individuare solo procedendo, appunto, per eliminazione…
Un buon esempio del primo caso è il Pozzo a NE di Gabrovizza 2331VG, il cui pensiero ha funestato molte delle mie notti negli ultimi otto anni e che alla fine (fortunatamente PRIMA di decidermi a devastare parte del mio giardino con una scavatrice a noleggio) ho scoperto essere stato ricatastato molto più ad ovest come Grotta delle Lame 4081VG…
Emblematico esempio del secondo caso è la Grotta dell’Angelo 5579VG, ben descritta e perfettamente rilevata ma segnata (plausibilmente per un errore di trascrizione delle coordinate) a circa 930 metri di distanza dalla posizione reale… se vi sembra un’inezia, fatevi una passeggiata di quasi un kilometro tra karren e rovi ed entrerete subito in sintonia col sottoscritto.
Insomma un lavoraccio, che però mi ha permesso, tenendo anche conto delle numerose grotte visitate precedentemente, di avere finalmente un quadro preciso ed aggiornato delle cavità della zona.
Tra le grotte nuove, aperte o ancora da disostruire, una chicca: un pozzo tuttora vergine ed inesplorato, che si allarga subito al di sotto dell’ingresso e in cui le pietre precipitano rumorosamente per una quarantina di metri… la circolazione d’aria presente in corrispondenza del minuscolo imbocco, con inversioni del flusso della durata di una trentina di secondi, fà già presagire succose esplorazioni, ma per ora l’ho richiuso in attesa di tempi migliori: buona parte del nostro parco attrezzi è disseminato in varie grotte attualmente ancora in esplorazione o in attesa di rilievo, ed aprire l’ennesimo cantiere senza sapere quando si potrà poi chiuderlo sarebbe follia pura.
L’aria…
…E la Pietra
Ma veniamo finalmente al succo vero e proprio di questo articolo, ovvero lo strano caso del “Pozzo sulla quota 273 IGM”, presente in catasto con il numero 4615VG (scusate, ma come avrete certo notato sono e rimarrò sempre fortemente allergico alla numerazione regionale, preferendo di gran lunga quella “storica”).
E’ il 2016 quando ne cerco l’imbocco per la prima volta, desideroso di esplorarlo… giro e rigiro in zona, ma senza risultati; ci passo anche molto vicino senza saperlo: la cinquantina di metri di errore di posizionamento, in quella zona cespugliosa ed irta di rocce, ed il sospetto che l’imbocco sia stato totalmente ostruito, alla fine sono sufficienti a farmi desistere… per il momento.
E’ durante le ostinate battute “a tappeto” di quest’anno che, tra le altre cavità, finalmente salta fuori anche questa… sono inizialmente un po’ perplesso di fronte all’imbocco comodo ed invitante, visto che nella descrizione catastale si parla di un “esigua apertura in roccia compatta”… esiguo nel mio vocabolario è altro, eppure non può che essere il pozzo che cercavo, mi dico, mentre i refoli di bora all’esterno richiamano sbuffi caldi e umidi dall’oscurità…
Ci ritorno nei giorni seguenti, con il necessario per scendere ed armare il pozzo: sin dall’inizio il mio target, vista la conformazione, è principalmente la ricerca di eventuali finestre.
Inizio a calarmi, e subito trovo un primo spit… accidenti! Speravo che la grotta non fosse più stata visitata dai tempi dell’esplorazione in scaletta del ’70, ma evidentemente qualcuno mi ha preceduto di almeno una trentina d’anni. Scendo fino ad un terrazzino, fraziono, ed eccomi finalmente nella parte ampia del pozzo: pareti compatte splendidamente lavorate dall’erosione che scendono allontanandosi sempre più verso il fondo.
Noto subito con gioia ciò che mi aspettavo di trovare: una bella finestra, evidente ed invitante, all’estremità sud della grande frattura lungo la quale è impostato il pozzo! Non ci metto molto a raggiungerla, e dopo aver piantato un fix che mi permetterà di assicurare corda e cianfrusaglie varie, nonché di poter tornare a raccontare ciò che troverò, mi ci infilo con soddisfazione dopo aver staccato gli strumenti.
L’ambiente appare vergine, pareti e pavimento bianchissimi non presentano la minima traccia di visite precedenti… ottimo! Inizio ad arrampicare, alzandomi complessivamente di circa quattro metri per altrettanti di sviluppo, ma sul più bello il gioco finisce in un cul-de-sac… orecchie basse, e ridiscendo con cautela sino alla corda, recupero armi e bagagli e continuo la discesa sino al fondo senza trovare nulla di interessante. Una volta giunto alla base del pozzo, noto tre scritte vergate bizzarramente in verticale: “TOSSI”, “GUIDO” e “GSSG”. Ah ecco – penso – sono stato preceduto dagli amici del “San Giusto”…
Stacco gli strumenti e dopo aver grufolato in arrampicata a varie altezze per controllare alcuni anfratti scendo lungo la china detritica sino al fondo: qui, proprio nella parete rocciosa che pone fine alla cavità nel rilievo di Dario Marini, non posso non notare un evidentissimo foro a circa un metro di altezza… oltre, il BUIO… MMMMH?!?
Ci infilo immediatamente la testa e mi si para davanti un salto di una decina di metri in un ambiente ben più vasto del fondo del pozzo in cui mi trovo… L’idea di venire qui era ottima, ma sono stato DECISAMENTE preceduto da altri in codesta grotta, penso sconfortato, mentre osservo il lavoro di allargamento che ha permesso agli esploratori di accedere al salone: una mitragliata di fori di trapano per indebolire la roccia, e successiva forza bruta a base di mazza e punta… fine anni ’80 inizio novanta, direi…
Non provo nemmeno ad infilarmi nella strettoia, che sembre tra l’altro piuttosto ostica, tanto non ho comunque con me abbastanza corda per superare questo nuovo ed inaspettato pozzetto, così inizio mestamente la risalita in superficie.
Nei giorni successivi contatto Lupo (Bruno Vivian) del “San Giusto”, scoprendo con stupore che loro di quella grotta non ne sanno nulla: vengo invece a sapere, proprio grazie a lui, dell’esistenza di un “Gruppo Speleologico San Giovanni” con il quale all’inizio degli anni ’90 il “San Giusto” aveva avuto qualche diatriba proprio a causa della sigla identica… L’unica altra possibilità riconducibile alla scritta sarebbe il “Gruppo Speleologico San Giacomo”, che però aveva svolto la sua breve attività ben prima degli anni settanta e le cui scoperte sarebbero quindi risultate nel rilievo fatto da Marini ed attualmente presente in catasto.
Ritengo quindi di aver individuato gli esploratori misteriosi: un gruppo di “cani sciolti” del rione di San Giovanni, totalmente al di fuori della speleologia “ufficiale” (vi ricorda qualcuno? A me stanno già simpatici…), e probabilmente all’epoca poco interessati o non tecnicamente in grado di presentare in catasto un rilievo aggiornato.
Passa del tempo, e finalmente mi decido a terminare la visita della grotta per scoprire sin dove si sono spinti i simpatici plagiatori di sigle altrui. Parto con tutto il necessario per una eventuale disostruzione: non vorrei essere costretto a ritornare perchè non sono stato in grado di oltrepassare l’infame orifizio… eh si, capita anche a me qualche volta, e non voglio correre rischi, specie da solo.
Dopo aver raggiunto nuovamente il fondo del pozzo, ed aver piazzato un fix bello alto, mi infilo nell’oblò scoprendo con sollievo di poter passare comodamente con tutti gli strumenti addosso. In men che non si dica mi ritrovo appeso sopra un bel salone concrezionato, e dopo aver frazionato con un altro fix mi calo sino al fondo. Qui mi attende una grossa sorpresa: una scritta a carburo a caratteri cubitali che sfida ogni logica: “GIACOMINI, BALDI, GUIDO, SCARPA, 7.10.51”.
Ecco…. ero partito per farmi un giretto e mi ritrovo in una puntata di X-Files… Baldi e Scarpa (nomi a me ben noti) nel 1951??? Ma scherziamo? Col rilievo fatto nel ’70 e la prosecuzione aperta in roccia viva appena nei primi anni ’90? Ma di che parliamo????
Mi coglie una sottile inquietudine, la tipica sensazione di quei momenti in cui la realtà diverge dalla logica… poi, borbottando frastornato, mi dirigo verso un evidente portale che da accesso ad un vano secondario del salone… e qui mi attende il colpo di grazia, sotto forma di una marcissima ed aggrovigliata scaletta che scende dall’alto. La scala risale senza alcun dubbio agli anni ’50, visto il diametro del cavo ed il tipo di legatura degli scalini: probabilmente uno dei primi modelli con il tubo di alluminio al posto dei pioli di legno… la corrosione del metallo, in quasi settant’anni, ha prodotto in grande abbondanza affascinanti depositi biancastri e mollicci…
Inizio subito ad arrampicare (non è proprio il caso di utilizzare la scaletta, credetemi) per vedere da dove proviene: dò per scontato che si tratti di una risalita lasciata poi armata, ma dopo qualche metro mi ritrovo inorridito a fissare la suddetta scala che esce stritolata da un accumulo di massi… la via si è sigillata con estrema violenza, moooolto tempo fa, e non posso fare a meno di chiedermi con un brivido se lì sopra, oltre al metallo contorto, vi sia anche qualche sfortunato speleo all’epoca misteriosamente scomparso… ridiscendo e mi costringo a tornare in modalità esplorativa: ho infatti notato un’evidente possibilità di prosecuzione… qualcuno ha già tentato di smazzettare uno sperone di roccia ma poi ha rinunciato: ecco un po’ di lavoro per il sottoscritto! La leggera eco al di là dell’intransitabile ostacolo mi spinge a risalire alla base del pozzo per recuperare il sacco con l’attrezzatura da disostruzione. Così, dopo alcune tribolazioni, mi ritrovo finalmente armato a dovere dinanzi alla nuova strettoia ed inizio a demolire.
Elimino facilmente l’ostacolo accedendo ad una saletta probabilmente inesplorata (il condizionale è ormai d’obbligo) abbastanza larga, dal pavimento di roccia levigata ed assolutamente priva di detriti (a parte quelli che ho appena prodotto io) che ospita una pozza poco profonda di acqua limpidissima, che rimane tale finchè non ci metto dentro accidentalmente lo stivale… la presenza di una fessurina laterale meandriforme che funge da evidente scarico delle acque di percolazione e l’aspetto generale dei vani mi fa sospettare che in periodi particolarmente piovosi l’ambiente qui debba essere alquanto inospitale… sul fondo della pozza raccolgo infatti un grosso ciottolo calcareo che in alcuni punti risulta quasi levigato “a specchio”… verrà a casa con me.
Il Ciottolo…
Cercando di capire da dove possa arrivare tanta acqua guardo in alto scoprendo un interessante camino… dato che il meandrino di scolo è improponibile e privo di correnti d’aria, mi fiondo proprio nel camino, risalendolo in arrampicata per circa sei/sette metri sino ad un punto dove purtroppo diviene intransitabile: a metà della risalita, un cunicolo molto concrezionato formatosi lungo un giunto di strato prosegue in orizzontale per qualche metro ma poi gira e sembra chiudere… dal lato opposto, un foro che dà su di un grande vuoto oscuro mi fa sussultare, ma purtroppo si tratta di una finestra che sbocca ad una certa altezza nella sala principale (quella delle scritte) e che all’inizio non avevo notato. La parentesi esplorativa odierna è definitivamente chiusa, non resta che risalire in superficie.
Una volta ritornato a casa, consulto alcuni testi e pubblicazioni, poi inizio una serie di telefonate per trovare le risposte che ancora mi mancano: parlo con Maurizio Radacich, Pino Guidi e Dario Marini, e tento pure di contattare l’amico Bruno Baldi, presumibilmente l’ultimo ancora in vita dei quattro esploratori del ’51, ma senza successo. Nei giorni seguenti riesco finalmente a parlare con lui, ma purtroppo non ricorda nulla dell’episodio in questione… in compenso riconosce subito il nome “Guido” come appartenente a Guido Ganciani.
A questo punto, nella speranza che qualcuno dopo aver letto queste righe possa fornirci, tramite i commenti all’articolo, notizie più precise sull’accaduto, mi azzardo ad ipotizzare sulla base delle ricerche da me effettuate una cronologia degli eventi riguardanti le esplorazioni succedutesi in questa grotta negli ultimi settant’anni:
7/10/1951: Gli allora giovanissimi Bruno Baldi, Sergio Scarpa e Giacomini (probabilmente Giacomini S.) della CGEB, assieme a Guido Ganciani, scendono nella grotta raggiungendo la sala finale attraverso un passaggio oggi ostruito, che si trovava verosimilmente qualche metro al di sotto dell’attuale foro di accesso alla sala delle scritte. Il fatto che il nome “Guido” appaia sia nella sala finale che alla base del pozzo d’accesso mi porta ad ipotizzare che sia stato proprio Guido Ganciani ad effettuare una prima discesa nel pozzo, tornando poi con gli altri per continuarne l’esplorazione.
Durante il disarmo della grotta, o prima che si riuscisse a ritornarvi una seconda volta dopo averla lasciata armata per ulteriori esplorazioni, per cause ignote il passaggio viene bloccato da una gran quantità di massi franati che impediscono non solo di poter continuare l’esplorazione ma addirittura il recupero dell’ultimo tratto di scala, che rimane sepolto per decenni nella sala oramai irraggiungibile. Escluderei che la scaletta sia stata semplicemente abbandonata in loco e successivamente seppellita dallo scarico di materiali dall’esterno in quanto, specie all’epoca, si trattava comunque di un’attrezzatura di un certo valore. Non viene steso alcun rilievo di ciò che è stato trovato, e la grotta cade nel dimenticatoio… potrebbe anche darsi che l’evento che ha causato l’improvvisa ostruzione del passaggio abbia tolto ai giovani grottisti la voglia di effettuare ulteriori tentativi. Baldi e Scarpa nel ’52 lasciano la Commissione per passare al Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre.
20/9/1970: Dario Marini scende (probabilmente in scaletta) ed effettua il primo (ed unico) rilievo ufficiale della cavità, segnando con un tratteggio la parte finale di una frattura meandriforme laterale che pare essere l’unico punto interessante della grotta. Non può ovviamente nemmeno sospettare la presenza della sala al di là della frana, e le esplorazioni che vi si sono svolte diciannove anni prima.
Fine anni ’80 – Inizi ’90: speleologi del “Gruppo Speleologico San Giovanni” rivisitano la grotta armandola con spit, individuando ed allargando con trapano a batterie un promettente forellino… attraverso questo nuovo passaggio scendono nella sala finale, trovandosi davanti (credo con gran stupore) la scaletta e le scritte di coloro che li hanno preceduti attraverso una via oramai scomparsa… A questo periodo dovrebbero risalire le due scritte in verticale alla base del pozzo d’accesso “GSSG” e “TOSSI”, affiancate alla più sbiadita scritta “GUIDO” risalente invece all’esplorazione del ’51.
L’ultimo trascurabile atto di questa vicenda riguarda le mie discese, ed è già stato descritto… ora non rimane che stendere finalmente un rilievo aggiornato della grotta e consegnarlo al catasto, per chiudere una vicenda affascinante, iniziata molti anni fa.