A partire da casa mia, oggi, siamo io e Celly. Potle ci raggiungerà più tardi direttamente in grotta con Gianni Benedetti. Ci ha inviato sullo smartphone il numero di Andrea per farci aprire il cancello: nel messaggio c’è scritto testualmente “Andrea Cavallo” con tanto di “c” maiuscola… un nome, un destino – penso – visto che gestisce un maneggio… poi però, conoscendo il Potle, mi assale un dubbio atroce e mi informo telefonicamente prima di fare figuracce (del tipo: “Oh, buongiorno egregio signor Cavallo…”) ed infatti viene fuori che si trattava di un espediente del Potle per trovare il numero sul cellulare, e non del cognome. Santa pazienza… Ha nevicato abbondantemente, ma la lunga sterrata che porta al maneggio è praticabile. Giunti al cancello, telefono ad Andrea perchè mi apra ma non risponde nessuno…
Sia all’interno che all’esterno del maneggio regna un silenzio assoluto, in giro non c’è anima viva, sembra la versione carsica di “Io Sono Leggenda”! Ci rolliamo una cicca mentre attendiamo infreddoliti, poi arriva una macchina: è lui? No, si tratta del proprietario del fondo, che non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscere… gli spieghiamo chi siamo e perchè siamo li, ma lui non sembra affatto entusiasta. Ci dice bruscamente che, per stavolta, ci farà entrare, ma che in futuro quando Andrea se ne sarà andato non permetterà più l’accesso a nessuno in quanto non ha alcuna intenzione di avere estranei che gli girano per casa (sic)… In effetti lo capisco, ma l’incontro è comunque traumatico ed è con le orecchie molto basse che ci sistemiamo nel parcheggio.
Quando siamo quasi pronti per entrare in grotta, scorgiamo in lontananza la macchina di Gianni che si avvicina alla recinzione… il cancello è di nuovo sprangato, e nessuno di noi due si sogna nemmeno lontanamente di affrontare il proprietario per farlo riaprire, così gli spieghiamo la situazione per telefono… povero Gianni, aspetterà in auto che arrivi anche Potle (che nel frattempo si è ritrovato con una gomma a terra) e poi per entrare si arrangeranno loro con Andrea, che oramai non dovrebbe tardare…
Io e Celly siamo finalmente davanti alla diabolica fessura… L’ultima volta abbiamo fatto veramente un ottimo lavoro così, dopo breve opera di disostruzione, riesco a calarmi in un bel pozzetto che si allarga. Dopo circa tre metri giungo su un fondo di detriti, in gran parte derivanti dai nostri lavori, che lateralmente si infilano in una nicchia oltre la quale le pietre precipitano per una quindicina di metri…
Bingo! Per continuare il lavoro è necessario eliminare il pietrame, per cui ci organizziamo con Potle e Gianni che ci hanno finalmente raggiunto: Andrea ci fornisce un secchio, normalmente utilizzato per il foraggio, ed inizio a scavare mandando su la roba. Ad un certo punto noto quello che sembra un anello arrugginito… lo tiro, ma oppone una certa resistenza… ci scavo attorno incuriosito, tiro ancora, ed ecco saltare fuori una lampada a carburo FISMA completa, con tanto di moschettone… non mi sono ancora ripreso dallo stupore che dal detrito emerge anche una vecchia torcia a pile… a questo punto mi auguro sinceramente di non trovare più sotto anche il proprietario dei suddetti oggetti, ma per fortuna non affiora più nulla.
Mentre continuo a scavare, nella mia mente si forma un’ipotesi più che plausibile che collegherebbe il ritrovamento di questi oggetti col mistero del nanerottolo violentatore di strettoie millimetriche, e la riassumo così: in questa grotta, verso la fine degli anni ’70 (fa fede il modello di lampada a carburo) uno speleo di infime dimensioni si è infilato a forza nell’orrido pertugio, spingendosi ben al di là di quanto il buon senso consiglierebbe… quando ha voluto tornare indietro si è reso conto dell’immane cazzata commessa, ma era ormai troppo tardi per pentirsi: era prigioniero… i compagni, a questo punto, hanno probabilmente dovuto estrarlo a forza e senza alcuna pietà dalla prigione di roccia che già lo stava digerendo; durante questa operazione, il tapino ha perso o ha abbandonato i suoi mezzi di illuminazione, che sono precipitati sino al terrazzino… è altresì verosimile che i protagonisti della vicenda, una volta fuori, abbiano perso ogni interesse per questa grotta (e forse per la speleologia in generale), e ciò spiegherebbe anche come mai, dopo tanto lavoro, nessuno abbia provveduto a stendere un rilievo aggiornato e consegnarlo in catasto.
Ma torniamo a noi. Smaltiti i detriti, inizio finalmente ad allargare lo stretto foro laterale trapanando e demolendo con foga, in quanto l’aria che soffia e le pietre che cadono nel sottostante pozzo mi hanno alquanto rinvigorito. Finalmente riesco a passare, e scendo in arrampicata notando due cose: dinanzi a me, subito sotto la strettoia, un passaggio orizzontale ancora non transitabile ma facilmente allargabile dà su un salto di alcuni metri, mentre sotto di me il pozzo continua verticale per una dozzina di metri restringendosi progressivamente a causa della colate calcitiche sino a misurare una ventina scarsa di centimetri, per poi allargarsi di nuovo molto più in basso… pessimo lavoro da fare, penso, e mi auguro sinceramente che il passaggio orizzontale notato più sopra si riveli un provvidenziale bypass.
Celly e Gianni, a turno, mi raggiungono e consideriamo insieme la situazione: Celly tentenna, e Gianni inizia col solito mantra (xè tardi, andemo fora, me speta Mila…). Anche per oggi abbandoniamo sul più bello. Una volta fuori, mentre ci dirigiamo alle auto, qualcuno ci grida “Allora? Come và la grotta?” …E’ il proprietario, che sta potando un albero assieme ad Andrea. Ci avviciniamo cautamente, e gli raccontiamo degli ultimi sviluppi esplorativi… Non so cosa sia successo mentre eravamo dentro, ma evidentemente i nostri rapporti sono considerevolmente migliorati al punto che, quando stiamo per salutarci ci dice che, se non c’è Andrea, possiamo addirittura chiamare lui per farci aprire. Beh, ora siamo tutti più sereni!