Oggi io e Giusto, pare quasi incredibile, siamo entrambi liberi dal lavoro, nonchè desiderosi di profondità carsiche (e questo è già assai meno incredibile); giornata plumbea, meteo funereo ma fortunatamente non piove almeno per il momento… quale migliore ambientazione per una gitarella alla famosa “Grotta dei Morti”? Giusto non c’è mai stato prima, e gongola all’idea di sgranchire le sue smisurate zampe lungo i 250 metri di pozzi. Io l’avevo già scesa per una quarantina di metri in un paio di occasioni, innumerevoli anni fa… una specie di pellegrinaggio sino all’invalicabile ostruzione detritica sulla quale si erano infranti sogni e speranze miei e di un paio di generazioni di speleo… Nella prima occasione, un tentativo di superamento di una trave orrendamente marcia che sosteneva tonnellate di massi era fortunatamente stato abortito grazie ad una vocina interiore che me lo sconsigliava caldamente, evitando così di un soffio la sicura tragedia: alla successiva discesa infatti, la misteriosa e spontanea sparizione della trave, della strettoia e di tutto ciò che stava sopra per parecchi metri mi confermava che l’istinto di sopravvivenza a volte può rivelarsi fondamentale.
Ottenute preventivamente le chiavi dal buon Moreno del C.A.T. eccoci percorrere la ben nota carrareccia panoramica (splendida vista sulle meraviglie architettoniche di Rozzol-Melara e soprattutto sull’ospedale di Cattinara, per la gioia di Giusto…), dove incrociamo solo un paio di solitari amanti della corsa. Giunti in breve alla botola, indossiamo l’attrezzatura ed iniziamo briosi la discesa. Mi dà una certa emozione l’idea che finalmente percorrerò i vani al di là della frana, ambienti immaginati e bramati a lungo leggendo avidamente relazioni vecchie di centocinquant’anni. Ben presto entriamo in contatto con le impressionanti opere di contenimento dei detriti, a base di tubi Innocenti e piastre metalliche, che ci accompagneranno a tratti sino al fondo: un’opera faraonica, allucinante, che solo la mente meravigliosamente squilibrata dell’amico “Cagola” poteva concepire e soprattutto portare a termine… Godo letteralmente dinanzi a tanta follia, arrampicandomi o scendendo in corda sempre più in basso lungo i tubi, soprattutto pensando che si tratta di un lavoro che non ho dovuto fare io! Anche Giusto è sbigottito.
La roccia è bianca, levigata… a terra ghiaia e detriti… non una molecola di argilla, nemmeno una pagliuzza o altri materiali provenienti dall’esterno… è il regno del calcare. Man mano che scendiamo, calandoci lungo i salti o percorrendo bassi passaggi orizzontali allargati a colpi di mine e scalpello, la percolazione aumenta e rivoletti di acqua si uniscono scorrendo sul suolo immacolato.
Un ultimo, lunghissimo susseguirsi di barriere metalliche verticali colme di detriti che lasciano giusto lo spazio per passare tra il metallo e la parete verticale ed arriviamo assai perplessi al cunicolo finale… Qui le tracce della grande mina del 1866 sfumano gradualmente in segni assai più recenti, che testimoniano degli sforzi fatti per trovare una prosecuzione verso vani ancora più profondi ed ancora sconosciuti… Ci sono mai stati? Saranno mai raggiunti?? Difficile dirlo, ma è improbabile che qualcuno cerchi di spingersi oltre nell’orrenda e poco promettente fessurina che vedo dinanzi a me. Strisciamo indietro sino al primo vano abbastanza comodo che incontriamo, e si fa merenda chiacchierando amabilmente. La doverosa sigaretta finale rischia di farci fare la fine dei quattro operai ivi sepolti, vista la ben nota scarsità di ossigeno & correnti d’aria del luogo. Partiamo celeri ed affannati, guadagnando quota sino a sbucare in ambienti più vasti e salubri…
Ad una settantina di metri di profondità notiamo uno scarabocchio su di una parete che in discesa mi era sfuggito… è assai sbiadito e con tutta evidenza risalente all’epoca delle esplorazioni ma al momento non riesco a decifrarlo anche se sento che mi ricorda qualcosa di conosciuto… Solo in seguito, una volta a casa, l’illuminazione: è la sigla lasciata dal Club Touristi Triestini, che scesero sino al fondo della cavità nel 1894 in barba alle proibizioni del civico magistrato invocate a gran voce dall’Alpina delle Giulie, poco propensa ad assumersi il rischio dell’esplorazione ma ben decisa ad impedire ad altri di portarla a termine… un pezzo di storia, ragazzi miei!