Non era possibile procrastinare ulteriormente la discesa di quegli ultimi metri al Malasuerte… DOVEVAMO SAPERE… Ed eccoci, alle nove di un ridente mattino stranamente non piovoso, ad armeggiare con corde e sacchi all’interno del garage. Giusto è reduce dalla nottata lavorativa, io per fortuna no. Stavolta mi informo minuziosamente sui materiali che si è portato dietro (l’esperienza insegna…) e scopro che partiremo con ben novanta metri di corda. Adoro l’ottimismo di Giusto…
Raggiungiamo l’ingresso chiedendoci quanta acqua troveremo all’interno, viste le abbondanti precipitazioni degli ultimi mesi, ma la risposta in realtà la conosciamo entrambi: TANTA! In effetti, lo stillicidio lungo i pozzi è piuttosto generoso, ed il fango onnipresente ne gioisce spudoratamente… Scendiamo rapidamente a -80 e finalmente mi calo nel famoso pozzo, con Giusto che fa gli onori di casa: “Occhio al macigno traballante”, “Hai visto che belle concrezioni?”, “Qui Celly avrebbe tanto voluto una corda di sicura… ah ah ah!” e così via. Mi godo parecchi metri di discesa in un ambiente quasi circolare ed incredibilmente privo di pericoli mortali, poi pendolo lateralmente in una frattura concrezionata e ci ritroviamo sull’ultimo salto. Un cordino in Kevlar (assai rimpianto dal legittimo proprietario, mi dicono…) funge da deviatore, e li rimarrà sino a che il nostro Celly non verrà a recuperarlo… più in basso, la corda finisce a circa otto metri da quello che sembra un fondo chiuso dal pietrisco. Ci prepariamo per il grande momento. Giusto estrae la sedicente corda da 90 dal sacco, e noto che è chiaramente segnata come corda da sessanta… Il mio compagno mi spiega che, in realtà, è stata lasciata parecchio abbondante al momento della metratura ed altre millanterie… io resto scettico ma non indago troppo: non c’è da preoccuparsi visto che il punto cruciale da raggiungere si trova poco più sotto.
Lascio a Giusto la discesa, se la merita! Lo osservo rimpicciolire, avvicinarsi sempre di più al fondo pietroso, poi improvvisamente sghignazzare ed ululare di gioia e quindi dileguarsi con corda e tutto in un invisibile (dall’alto) passaggio laterale. Sono titubante, non so se gioire per l’ennesima prosecuzione o disperarmi per gli ulteriori mesi di fango e pietroni che verosimilmente ciò comporterà… e la corda? Basterà??? Nel dubbio scendo a mia volta, e mi ritrovo ben presto in una bella sala laterale, ampia e concrezionata seppur pavimentata ad argilla acchiappaspeleo. Il buon Giusto è li che mi attende, e non potrebbe fare altrimenti visto che il vano chiude ermeticamente in tutte le direzioni… grufoliamo qua e là ma non c’è niente da fare: il Malasuerte è veramente finito, a circa 120 metri di profondità o giù di lì… Non lo sapremo sino a rilievo finito, visto che il fango mi ha brutalizzato l’altimetro oltre a formare una bella distesa di caratteristici “abeti”.
Metabolizzata la situazione non resta che risalire, ma non prima di aver spietatamente accoltellato la presunta corda da novanta riportandone la metratura a valori più vicini a quelli indicati dalla targhetta: sarebbe stato assurdo lasciarla lì in toto solo per quei pochi metri di pozzo, e poi, sotto sotto, pregustiamo il sottile piacere di informare dell’accaduto il custode dei materiali…
Durante la risalita tentiamo più volte con la forza della disperazione di ottenere delle foto decenti, ma acqua e fango ci sono ostinatamente contro e a nulla valgono svariati tentativi di asciugare e/o pulire l’obiettivo con varie parti dei nostri miseri indumenti, nonché del corpo: Giusto, oramai completamente nevrastenico per la notte in bianco, dà preoccupanti segni di squilibrio mentale per cui decidiamo di uscire prima che lui o la fotocamera passino a miglior vita. Man mano che ci avviciniamo all’uscita, però, il morale migliora, mentre blateriamo del più e del meno passandoci fraternamente il sacco nei budelli più ostici. Una volta fuori è ancora meglio, e troviamo addirittura la voglia per l’autoscatto di rito… poi via, verso casa.