Un sabato come tanti altri. Io e Potle siamo free solo al pomeriggio. Senza impegno ci sentiamo al telefono e decidiamo blandamente: scavo a Campo Sacro. Passo a prendere Michele e ci dirigiamo al sito. Appena arrivati fissiamo il fondo: una fangaia tosta e rossa figlia di 2 settimane di pioggia. Ci guardiamo e all’unisono decidiamo che oggi non è giornata, meglio aspettare un periodo di secco per tagliare la testa al toro. Torniamo alla macchina quando Potle viene colto da folgorazione e decide di andare alla “Cavernetta delle Cavallette” (4198VG) che si trova sull’altro lato della strada. Arrivati entriamo in abiti “civili”, caschetto acceso e ben allacciato (anche di giorno … Cereghini docet). Colti da visioni pensiamo di percepire una corrente d’aria e ci mettiamo a rigirare i massi del fondo per un’ora buona.
Ovviamente non c’è alcuna prosecuzione, ma stranamente rinveniamo quel che rimane di un caricatore da fucile Mannlicher austroungarico della prima guerra mondiale. Tristi abbandoniamo la nostra opera, scattiamo un paio di foto e usciamo.
E’ proprio una giornata stramba. Abbiamo ancora tempo e Potle se ne inventa un’altra delle sue: “andiamo a vedere l’ingresso della Berlova! Potremmo scenderla prossimamente per fare prove fotografiche su pozzi lunghi che ne abbiamo estremo bisogno per il Firn”. Mi sembra un’idea tranquilla e chiedo come facciamo ad arrivarci. “Andiamo con la macchina fino al ponte morto e poi a piedi per il sentiero” mi risponde. Ponte morto ?! E che è? Ci arriviamo velocemente: un’opera dimenticata da Dio e dagli uomini. Ma dov’è il sentiero?!? Lo intravediamo ben evidente al di là di un muretto e una recinzione in semplice filo metallico di quello per animali. Il tutto è recente e ha tagliato in due il percorso normalmente usato. Non si vede anima viva, umana o animale che sia. Che si fa? Il Potle non ha dubbi (non facciamo mica nulla di male, seguiamo solo il sentiero!) e passa al di là nel prato. Io sono titubante, ma non posso far altro che seguirlo e lo raggiungo. Dopo 50 metri il sentiero è di nuovo sbarrato da un muretto addobbato con i consueti fili metallici: al di là la nostra meta. Sono inquieto e penso al PERCHE’ di quei fili così “strutturati” che ricordano il recinto elettrificato di Jurassic Park per contenere i tirannosauri. Invito Potle a passare subito sul sentiero e riacquistare la nostra libertà. Egli mi guarda con sguardo furbo e complice e sfiora i fili per uscire dall’impasse quando si scuote e rimbalza indietro visibilmente scosso: zzzzot! I fili sono “armati” a bassa tensione e si è beccato una bella scossa. Timore e sorpresa. Ci provo io: zzzzot! E due! Sbigottiti entrambi ci facciamo prendere dall’ansia. Seguiamo i fili a dx e sx poi con slancio Potle si infila proditoriamente in un punto più “abbordabile” e plana nella libertà da dove con un bastone aiuta anche me. Tiriamo un enorme sospiro di sollievo: 3 minuti di panico inutile. Dal di fuori ripensiamo al rischio passato in modo del tutto innocente. A noi serviva solo non perdere la strada, ma mi riprometto: mai più “scorciatoie” a costo di girare un’ora in cerchio!
Dopo 5 minuti seguendo la traccia del sentiero raggiungiamo l’ingresso della verticale anch’essa totalmente recintata fino a 2 metri d’altezza (ma è una nuova moda?!?! E’ Coooool?!?). Per fortuna è un’opera datata, con più varchi sicuri e nessuna corrente in circolo … tutto sommato aiuta sprovveduti e qualche animale a non cadere di sotto: è un’opera intelligente. Veloce sopralluogo e ritorniamo alla macchina trovando un sentiero alternativo al recinto zzzzot zzzzot (estremo sollievo). Di striscio Potle trova il tempo di riesumare un paio di pozzetti mai rilevati e da lui scavati in gioventù: ci ritorneremo nei mesi a venire.
Rimane ancora un’ora di luce e decidiamo di cercare un pozzetto in zona San Pelagio che a Catasto ha un accattivante rilievo che finisce con un bel punto di domanda. Nulla da fare: qualche bella costruzione deve averlo divorato nei decenni passati, comune destino a molte grotte dell’Altipiano prossime a centri abitati. Il buio si fa pece: il sole è tramontato. Potle mi invita per un pasto frugale nel suo nido famigliare caldo ed accogliente. Accetto con un sorriso di gratitudine. Mentre chiacchieriamo fuori inizia a soffiare la bora. Si è fatto tardi. E’ tempo di ritornare a casa … zzzzzot!