Organizzato l’oramai classico campo invernale all’abisso Led Zeppelin, Cavia si pone l’obbiettivo di trovare un bypass fossile alla galleria “Dio Negro” (che si allaga ad ogni piena e che due anni fa aveva intrappolato due speleo ungheresi) mentre gli ungheresi in questione si spingono nei rami che oramai dal nuovo fondo a -1030 battono più di un chilometro. D’accordo con Renzo Space pensiamo di fargli una sorpresa e raggiungerlo per un paio di giorni, ma non potendo portare alcolici, per mere questioni logistiche, nè tantomeno libere imprenditrici del terreno piacere, decidiamo di portargli giù trapano e placchette per fare la famosa risalita asciutta.
La discesa al Zep è il solito delirio di sali-scendi, striscia e gratta, ma arrivati al campo l’accoglienza è degna di un pontefice in visita a Lourdes: Cavia ha messo a soffriggere cipolla e guanciale per prepararci una splendida frittatona!
Dormiamo il sonno dei giusti e la mattina di lunedì partiamo per il fondo del Zeppelin; dalla galleria terminale del vecchio fondo ci infiliamo tra i massi e seguiamo la via che ha portato Cavia e gli ungheresi lo scorso anno a meno mille. La stessa galleria prosegue di frana in frana per poi interrompersi, ma uno speleo-designer perverso ha progettato un bypass che porta oltre al blocco; certo, in gastroenterologia ho visto buchi più accoglienti e meno stretti, ma essere schizzinoso non aiuta e bestemmiando mi trascino oltre. Ci fermiamo per la risalita in una sala enorme decorata da un arrivo massiccio a più di 70 metri sopra la nostra testa, ma per fortuna dobbiamo risalirne solo una ventina per verificare una finestra. Cavia è impegnato nell’espletare i buoni riti di pulizia intestinale, Space si è già messo il piumino… immagino tocchi a me andare su.
Finita l’arrampicata corriamo a meno mille per la foto di rito – e quando mi ricapita!? …magari anche presto, col Firn… uhm!?! – e poi torniamo al Campo in Black Hole, sono le 8 di sera, è tardi e dobbiamo svegliarci all’una se vogliamo uscire in tempo per fare il traverso dal Zep a Sella Golovec con condizioni perlomeno decenti.
Renzo si è fatto pelare al gioco da Cavia e gli ungheresi, lascia giù orologio, coltellino e fotofora – la verginità non so, non vuole parlarne…
Ci ritrasciniamo per quel delirio di meandri snervati da ogni calata e meandro in discesa, ma finiscono anche quelli e il vento all’uscita ci fa rimpiangere il calduccio della grotta.
Space espleta un ultimo rito e getta il tabacco nel pozzo.
La discesa è lenta e faticosa, ma:”Bella Frate, che bella sciàda che se femo ‘desso!”
I dobermann attaccati ai polpacci e alle cosce mollano solo per andare a farsi un bombardino al Julia, noi ne approfittiamo e fuggiamo.
Quando arriva il tempo in cui si potrebbe, è passato quello in cui si può.
Da un lato Vi invidio … dall’altro penso siate seriamente pazzi … da un terzo punto di vista non ho potuto NON notare quell’accenno ad un prossimo e vicino “ingresso basso” … CHE COSI’ SIA!!! Qualche adepto in più poi forse …
PS: siete dei grandi. Compliments!